Claudia Presicce

Scatenato, ironico e cinico, ma anche romantico e insperatamente ascetico

 

dal Quotidiano di Puglia
A piedi verso Santiago tra fede e scetticismo

 

Ogni tanto qualcuno lascia. Decide che basta, non ce la fa più a continuare, chiude. Chi però ha la costanza di restare, di insistere e andare avanti, in quel cammino continua, tra cedimento fisico e stati di grazia, tra fatica e un inevitabile senso di comunione con gli altri pellegrini e con la strada tortuosa, a scoprire qualcosa di sé, del senso della storia, sua e del mondo intero. Forse chi cerca con ostinazione qualche felicità miracolosa non la troverà, ma invece

aspettative più basse coloreranno di stupore le ore e i giorni, lasceranno che piccole gioie inattese giganteggino sulle premesse più ciniche, su crinali di disilluso disincanto. Ma gli occhi per vedere quegli incanti subitanei che ci arrivano in faccia improvvisi dovranno restare aperti e la pelle sempre pronta a cogliere, anche in uno sfregamento minimo, una carezza della vita.
Sarà questa una metafora sull’esistenza, potrebbe esserlo, ma in realtà vuole raccontare il senso di un pellegrinaggio come il Cammino di Santiago. In fondo assomiglia molto, al di là del profondo slancio mistico, ad un percorso esistenziale, anche perché segna sul corpo e sulla mente punti fermi e profondi che lasciano lo spazio ad un prima e ad un dopo. Il silenzio, la stanchezza, la contezza di una meta che prima o poi arriva, possono, in un luogo intriso di fede e sacralità, piegare anche l’animo più indurito e caustico.
Scatenato, ironico e cinico, ma anche romantico e insperatamente ascetico, ecco “Abbronzati a sinistra” (Melville) il libro di Elio Paoloni. L’abbronzatura citata nel titolo vuole evocare lo stato reale di chi si muove a Occidente per percorrere il “Camino” (come vuole il termine originario, non italianizzato) e ha quindi per tutto il pellegrinaggio il sole sulla sinistra. Già questo gioco nel titolo fa capire il tono di questo romanzo (che somiglia
a un reportage molto argomentato, ma è di più) costruito sullo scetticismo di chi inizia questa esperienza per sentimenti piuttosto profani di amore e amicizia con i compagni di viaggio, e se si vuole anche per il senso dell’avventura di una vacanza diversa, ma certamente non per una spinta verso la purificazione, l’ascesi, non per pura fede insomma.
Tuttavia la ricerca di un Dio, è innata nell’uomo, resta un mistero e una tensione arcana naturale anche nel più materialista degli uomini.
Quindi questo percorso scanzonato, divertito e a tratti davvero aspro e complesso, lascia emergere immagini interiori che lavorano sull’anima, che scavano qualcosa o confermano qualcos’altro magari. Accompagnano addirittura pure alla visione di un Cristo che si piega sul pellegrino protagonista e lo guarda negli occhi. Il senso di sé e di essere cercati e riconosciuti dal divino diventa una scoperta folgorante, seppure minimizzata in apparenza, così come da copione per un animo imperturbabile.
“Tacitamente – scrive Paoloni – abbiamo organizzato tutto come qualsiasi altro dei nostri viaggi... Quasi nessuno, del resto, ha ben chiare le motivazioni reali del cammino. Anche i più religiosi, quelli che credono di averle chiare, anche chi parte, come si faceva una volta, voti causa, non può scoprire le reali motivazioni se non avanzando. “Il Camino non dà risposte, intuisco: ti aiuta a formulare la domanda”.
L’evoluzione del viaggiatore (che sembra essere lo stesso scrittore) non è qui miracolosa, né scontata e tantomeno semplice in una comitiva di dissacratori divertiti (che, per capirci, ad esempio davanti al sacchetto con piccole pietre portate da casa da lasciare lungo il sacro cammino davanti alla Cruz de Hierro spoetizzano con un “e ccè ssù confetti”) tuttavia è riscontrabile in alcuni passaggi del libro. Per esempio, tra quelle rocce battute dal vento e dalla pioggia, tra i dirupi e le salite, tra i piedi soccorsi con la vasellina e il Prep, affiorano gustose contemplazioni sulla felicità. Sentirsi vivi, riflette il protagonista a quasi metà ibro, significa provocare “livori e guerriglie per conseguire un avanzamento di carriera, o quel simulacro di avanzamento che sta nella scrivania più nuova o nel computer più veloce.
Sentirsi uomini è sentirsi un po’ sopra ai colleghi, ai vicini, ai fratelli. Avere di più, avere più ragione e, soprattutto, essere più furbi”. Il tono è dunque del tutto incompatibile con quello di chi porge l’altra guancia e si illumina solo per la dolcezza del creato.
Qualche pagina dopo invece riflette diversamente. “Potremmo essere fe-li-ci / e a volte un poco disperati – canticchia nella testa il protagonista camminando, e poi dice – questi versi di Luca Carboni mi sembrano sempre più calzanti, paiono racchiudere, per quanto ridicolo possa sembrare, l’essenza della vita: la felicità intorno e la bolla che ci impedisce di assorbirla, trattenendo e rimettendo di continuo in risonanza cupezze immotivate, sciocchi risentimenti, ridicole preoccupazioni. Questa scarpinata dovrebbe servire appunto a infrangere la bolla”.
Ecco, intorno a quella bolla intanto passa di tutto, mettendo un piede davanti all’altro tra quelle pietre un po’ francesi e un po’ spagnole, mentre la compagna e l’amica, normalmente sedentarie mostrano una solerzia tutta femminile nel cambiare ritmo senza lamentarsi.
C’è la voglia di restare la notte a dormire all’aperto per guardare il cielo e la Via Lattea per contemplare magari un soffitto diverso, “un tetto kantiano”, che si infrange non appena viene offerta la comodità maggiore di un letto. Passano poi i ricordi che tutti i pugliesi ‘devono’ avere di Padre Pio o di una visita a San Giovanni Rotondo, che in qualche modo hanno creato qui uno iato con l’ateismo più intransigente: perché i miracoli o i fatti paranormali che riguardano il Santo di Pietrelcina sono storia innegabile in Puglia. Sembra suggerire Paoloni che una certa dimestichezza per noi pugliesi (anche lui lo è) con una qualche fede è naturale anche per aver masticato la “materia” che riguarda “la possente, scorbutica figura di Padre Pio”.

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