Rissa assicurata

I manuali di buone maniere prescrivono che la religione, come la politica, il sesso e qualsiasi argomento fortemente divisorio, vada bandita dalla tavola. “Di Gesù non si parla tra persone educate” è l’incipit di un famoso libro di Vittorio Messori. “Con il sesso, il denaro, la morte, Gesù è tra gli argomenti che mettono a disagio in una conversazione civile” continuava Messori. In effetti, per evitare di offendere sentimenti e scatenare dispute troppo accese, i commensali di buon senso si prefiggono di affrontare argomenti neutri, impersonali, piacevoli. E cosa c’è di più naturale, a tavola, dell’argomento cibo? E’ appropriato, piacevole, condivisibile da chiunque (altra regola del galateo è quella di non affrontare temi che coinvolgano solo alcune delle persone 
 

 

presenti). E’ un argomento pacifico.

O meglio lo era. Nulla di ciò che attiene al cibo è pacifico, ormai. In passato si discuteva sugli ingredienti giusti di un piatto, sul segreto di una buona preparazione, sull’appropriatezza di un abbinamento di vini (tipica la disputa sul vino rosso col pesce). Si menzionavano ristoranti, si rammentavano esperienze culinarie esotiche, si riesumavano ricette della nonna. Al massimo ci si accapigliava sul sesso dell’arancino, o arancina, appunto. Quisquilie insomma. Se proprio la discussione accennava a riscaldarsi, qualcuno interveniva con l’inconfutabile “de gustibus” e tutto si stemperava.

Ma oggi non c’è argomento più spinoso del cibo. I primi disagi si avvertono già a quella vecchia formula di cortesia, ‘buon appetito’. Quasi tutti sanno che questo augurio (più maledizione che augurio, vista la necessità di spegnerlo il pernicioso appetito) è caduto in disuso, anzi in disgrazia. Il fatto è che un pranzo è comunque un rito – agape – e mentre in passato la ritualizzazione si compiva col segno della croce, o con una preghiera, oggi non si sa più come iniziare. Si potrebbe fare i cosmopoliti e uscirsene con un “que aproveche”, simile all’enjoy (godetene, approfittatene). Con “buon pranzo”, tuttavia, si taglia la testa al toro. Tagliare teste?  Toro? Che ho detto? Altro ginepraio.

Ci siamo appena messi a tavola è già sudiamo, insomma. Le prime parole sono già tutto un dibattito interiore. E proseguendo andrà peggio. Parlate del tempo, gente, prendete esempio dalla saggezza inglese, perché se la discussione scivola sul cibo, siete morti. Si comincia col moderno arsenico, il glutine, e io, perplesso, ricordo che la Buitoni, trovando insufficiente la naturale quantità dello stesso vantava la pastina arricchita di glutine, quella  con la quale sono (parecchio) cresciuto, poi si passa all’olio di palma (meno nocivo del burro, e pure della margarina, ma non vi azzardate a dirlo e soprattutto non rendete onore al signor Ferrero – o chiunque ne faccia le veci – per aver rivendicato a fronte alta l’uso dell’olio maledetto).  Tutto ciò che nuoce alla salute (ovvero tutto ciò che è gustoso) verrà elencato e sviscerato. I danni provocati saranno minuziosamente descritti e voi rimpiangerete di non aver impostato la discussione sui rispettivi acciacchi, cosa vietata dal bon ton. Fin qui, solo pena e disgusto. Mentre si conteggiano le calorie, vi chiederete perché non si sia rimasti ognuno a casa propria a mangiare acqua calda con la forchetta. Ma il peggio deve ancora arrivare.

Fino a qualche tempo fa ci si poteva scontrare con gli anticaccia, degli ingenui che contestavano l’unica uccisione accettabile, e spesso solo vagheggiata, di animali vissuti felicemente - naturalmente gustando la loro fettina di carne di infelice animale. Ora ti ritrovi a scontrarti con la variegata setta di non carnivori, dal vegetariano al vegano, dal crudista al macrobiotico, col loro triste elenco di cose lecite e illecite, o semplicemente sconsigliate. C’è poi una vastissima fascia di tiepidi, formalmente carnivori, che però rispettano, anzi apprezzano i vegetanti e le loro motivazioni e, pian pianino, vanno azzerando i loro consumi di cibi provenienti dal mondo animale. Si sono aggiunti di recente gli adepti della dieta del gruppo sanguigno: quello che può mangiare tutti gli agrumi tranne le arance, l’altro a cui sono permesse le melanzane purché non siano viola. Prima per conversare ti chiedevano “di che segno sei?”, ora ti chiedono “di che gruppo sei?” evocando sgradevoli immagini di provette e trasfusioni.

 

Non so voi, ma io con questi ci litigo, altro che placide dissertazioni culinarie. E soprattutto rimpiango di non aver discusso subito di religione, quella vera, dato che, in ogni caso, di dispute religiose si tratta. Non si tratta della sia pur riprovevole ma semplice - e umana - religione del cibo, quella pagana, epicurea, sensuale, che tributava onori a Bacco. Si tratta di religioni dei divieti. Di fondamentalismi di ripiego. Si tratta dell’adorazione del vitello d’oro, della vacca sacra, dell’animale idealizzato, santificato, elevato al disopra dell’uomo. E della salute dell’uomo, anch’essa divinizzata, elevata a diritto/dovere, nell’illusione di conservarla a dispetto del cosmo, del diavolo e dei disegni del Buon Dio. Buon appetito.                                                                               (su Alceo, Giugno 2017)

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