Spazio

La cosa più costosa oggigiorno. Nulla di più prezioso dello spazio intorno alla tana. Ma anche sotto i piedi, sotto le ruote, sotto la chiglia. Spazio per i miei pori, per il mio cristallino, per le mie narici; per i mie timpani soprattutto. La mia aura - il territorio che non “deve” essere violato - è estremamente ampia. Basta ridurla, ignorarla, e sono perduto, annullato. Essere

 

cosciente — pienamente e in modo continuativo — del numero di esseri umani che affollano il globo può essere sopportabile; ma avvertire ogni istante che “ tanti” fanno le stesse cose che sto facendo, con lo stesso spirito, gli stessi affanni e la medesima coscienza della propria importanza, percepirlo realmente, rende qualsiasi azione intollerabilmente penosa.

In passato il moralista – o il filosofo o il poeta – sentiva fortemente la propria piccolezza confrontandola con l’immensità della natura, con la pluralità dei mondi, l’incommensurabilità del tempo (non tanto “l’infinità immensità degli spazi che ignoro ma che mi ignorano: “Quanti regni ci ignorano!” (Pascal)

Tra l’umanità, invece, non si perdevano: anche il più misero, inetto, degli uomini aveva una sua chiara – anche se imposta – identità; lo scemo del villaggio, come il barone, aveva la sua aura; non poteva venir ignorato: lo spazio intorno a ognuno era così grande che la presenza più scialba poteva contare.

Oggi è di fronte agli altri che ci si sente piccoli: non c’è bisogno di immaginare l’infinità  delle galassie, basta girare in città. Quanti uomini ci ignorano.

 

 

E il silenzio? Il silenzio è frutto dello spazio.

Sciascia, capace come pochi altri di leggere i segni dei tempi, ricordando che Ortega y Gasset aveva scritto che l’uomo andava sempre più immergendosi “nell’oceano del rumore”, aggiungeva: “Un rumore dal quale non si sfugge neanche diventando palombari. Ci perseguita ovunque. Dopo la caduta dell’impero romano alcuni sono riusciti a scappare verso il silenzio ed hanno cominciato a creare, cominciando dai monaci. Oggi non esistono più rifugi di silenzio”.

 

Insomma, oggi bisogna sottostare alle tagliole della civiltà per aver modo, ogni tanto, di sottrarvisi. La solitudine, il silenzio, la calma, che per secoli erano condizione naturale, anzi condanna, oggi si pagano carissime. Solo pochi milionari hanno diritto alla natura, alla condizione, cioè, che fino a ieri era dietro l’angolo per chiunque.

Non ho fame di denaro perché bramoso di oggetti, feticci, lussi, ma solo per starmene un po’ per i cazzi miei e poter rivedere, una volta almeno, una spiaggia assolata completamente deserta, poter assorbire la bellezza di una campagna senza rumori moderni e cicatrici grigie d’asfalto.

 

Ecco perché amavo vegliare la notte, quando ancora potevo. La consapevolezza, il dominio di sé mentre gli altri sono soggiogati dalla natura, da quella quiete della natura che si sono illusi di annullare durante il giorno, è spazio (mentale, auditivo, fisico). La notte è spazio.

 

 

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