Riflessi in Piazza Scala

2012-12-20 08:40:26

 

Un'endovena di verità (le chiamano epifanie)


Questo quadro di Antonio Mancini non è elencato tra i più significativi dell’esposizione e probabilmente non lo è: altri visitatori non lo ricordano neanche, confuso tra le opere sensuali di altri autori napoletani. Altri visitatori non lo ricordano neanche, confuso tra le opere sensuali di altri autori napoletani.Eppure è l’opera più agghiacciante che abbia contemplato. S’intitola Riflessi. E sui riflessi

 

si adagia lo sguardo del fruitore, colpito, se resta colpito, dal virtuosismo luministico, tra impressionismo e anticipatorie spatolate. Evoluzione interessante agli occhi di uno studioso, provenendo da un ritrattista che è sempre stato marchiato come naturista, verista, aneddotico. Non cercatelo sul WEB, va visto a Palazzo Brentani, Gallerie di Piazza Scala, a Milano. Dal vivo, come ogni opera davvero significativa.

Guardando certi ritratti non recenti, dipinti o foto poco importa, si scivola spesso in considerazioni sulla caducità, ci si domanda come sia adesso quello splendido giovane o quanto sia rimasto delle ossa di quella vitalissima ragazza. Più si invecchia, più si è attratti, morbosamente, da queste riflessioni. Ma è un processo, un atto deliberato: si indulge volontariamente nello struggimento, si intravedono, cercandole, le aggressioni in agguato, le tenebre future. Certo, alcuni ritratti sembrano costringere a quelle riflessioni: un volto triste, uno sguardo perduto che suggeriscono un destino, il destino. Alcune opere grandiose possono provocare un’emozione simile a quella del dipinto di Mancini. Le Tre donne di Boccioni, per esempio, esposto nella stessa galleria: queste figure così presenti, tangibili, avvolgenti, inalterabili e allo stesso tempo lontane, perdute, irraggiungibili, evidente simulacro investito da raggi innaturali, possono invitare a quel genere di meditazioni ma potrebbero anche prestarsi alla lettura opposta: monumento alla inalterabilità, alla permanenza, all’immortalità. 

Riflessi invece non è solo pretesto a eventuali interpretazioni sulla caducità. Non si presta casualmente e neppure si limita a suggerire: sancisce. Condensa la condizione umana esibendo spettri. Materici, ingannevolmente gioiosi nella natura policroma, luminosa, ariosa, ma spettri. Già al primo sguardo queste figure si presentano come passate, trapassate, forse mai nate. Verissime, vitali, luminose eppure mai nate. O nate per un istante. Cristallizzate in una bellezza vivida eppure sfuggente. I ‘riflessi’ non sono i giochi luminosi su corpi dotati di sostanza e durata, riflessi sono i corpi stessi, privi di consistenza reale, frutto di un sogno, di una illusione, di un equivoco.

Sono stato impreciso: ho scritto ‘al primo sguardo’. Non è vero: per qualche secondo (o più?) ho guardato queste figure come avrei guardato un qualsiasi gruppo femminile en plein air, ammirando l’abilità di Mancini nel far emergere queste figure con modernissime macchie di colore. E’ impressionante come la violinista in secondo piano sembri avere una definizione precisa, una postura significativa per quanto innaturale, e poi di colpo appaia fluttuante, inafferrabile, non più distinguibile nelle macchie destrutturate. La figura in fondo è la più inquietante. Si percepisce il corpo femminile con la visione laterale, come quando ci si accorge di qualcosa ai limiti del campo visivo, e bisogna spostare gli occhi per evitare che si confonda definitivamente con i tronchi e la vegetazione da cui emerge. E’ lì che hai la prima percezione del senso del dipinto, ti rendi conto di non trovarti di fronte al solito grazioso quadretto ma a un’opera tenebrosa. Per dubitarne immediatamente dopo perché le bambine in primo piano ti guardano (proprio direttamente, ‘guardano in macchina”) con occhi così vividi, con un allegria così furbesca, che sei costretto a ricrederti. Giusto un attimo, perché sono proprio le figure più strutturate, più allegre, a precipitarti nell’angoscia. Qualcosa ti fa percepire l’inconsistenza di quelle vite. Discerni chiaramente la morte in quel fulgore. Senza che tu possa dire perché, forse è la scomposizione dei grumi di colore, il fulgore è già decomposizione, chiaramente, con immediatezza, in trasparenza. 

Siamo abituati ad attribuire al verso di Quasimodo Ed è subito sera un senso figurato. Per quanto ci parli della repentinità, a quel ‘subito’ attribuiamo pur sempre una certa dimensione temporale, più o meno lunga. Riflessi ti avverte che subito significa proprio subito. Anzi prima.

 

 

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Commenti: 3
  • #1

    giancarlo corrado (martedì, 22 gennaio 2013 18:56)

    anche io ho visitato la mostra. Malgrado i capelli bianchi non ho fatto le tue profonde riflessioni

  • #2

    Maria Sgura (martedì, 22 gennaio 2013 19:02)

    sei stato capace di far parlare un quadro di una bellissima mostra dai riflessi significativi.

  • #3

    Mario Bianco (venerdì, 22 febbraio 2013 16:40)

    Ottimo e molto significativo dipinto, e la riflessione profonda, adeguata. Mancini è un autore che mi ha colpito fin dall'infanzia, eppure non conoscevo questo quadro. Grazie di avermelo segnalato!