Nuovi racconti 1

2008-03-04 17:47:20

 

Sul numero primaverile di Tratti

 

“Nuovi” perché pubblicati adesso. In realtà i racconti hanno più di qualche anno e sono stralciati da una raccolta a tema mai completata

Giulia Super

 

Anomala. Mostruosa. Nata - raccontavano - dai più recenti esperimenti sui fluidi. Sfatato dai nostri avanzatissimi studi il mito delle forme arrotondate, un pregiudizio originato dalla fallacia del senso comune: solo la coda tronca è veramente aerodinamica. Ma noi non ve la diamo tronca e basta, noi ci facciamo i canaletti,


le incisioni, le nervature, noi questa coda ve la diamo con un labirinto scavato dietro. E solchi anche ai lati del cofano, concavo contro convesso, nel ripudio di ogni tentazione di morbidezza ma anche delle banali spigolosità correnti. Asportazioni perfino sulle portiere, come cicatrici su un felino che ha combattuto e ha da combattere. Perché, insomma, quella era una macchina da uomini, tutto quel contrarsi di lamiere non aveva nulla a che vedere con l’aerodinamica. 
L’abbiamo capito solo dopo, quando il coefficiente di penetrazione è diventato più importante per le tasche che per i brividi, quando la forma a goccia - eterna quanto moderna - è tornata a ricordarci la preziosità di ogni goccia del carburante. (Parlarci. Trovarli e parlarci, quelli che le hanno pensate, quelle cazzate, quelli che le hanno dette, quelli che dipingevano le freccette rosse per indicare i rivoletti di fluido che si infilavano nel culo della Giulia Super e la spingevano. Sapere se poi, da tecnici, si sono nascosti da qualche parte o, da comunicatori, hanno esibito gongolanti questo capolavoro di persuasione, disinformazione, capovolgimento). 
Ciò che realmente contava non era la resistenza all’aria ma la resistenza allo sfondamento. Non per premature fisime sulla sicurezza passiva, ma per esigenze di robustezza attiva: la macchina della Polizia. E pure dei Rapinatori. 
Una falce misogina si occupò di eliminare ogni residuo di grazia, morbidezza, femminilità (rammentare le maniglie: la forma, l’attacco, l’angolazione sulla portiera) tollerando il tondo unicamente nei doppi fari, ingabbiati nella mascherina aggressiva come ugelli lanciafiamme, fori uretrali del monumento alla penetrazione. 
Dopo, a partire dalla stessa Alfa 2000, ogni automobile sarebbe sembrata avvolta da un preservativo. 
Il motore, beh, Alfa Romeo. Il rombo, la potenza: l’Alfa. Ma il cambio. Il cambio. Quella leva lunga, non corta come ci si aspetta da una macchina aggressiva, sportiveggiante. E questa sensazione, sotto il palmo, di innesto saldo, importante, ma anche morbido, ammortizzato, vibrante, come muscolare, lì, dietro la gonnellina nera in cui si inseriva l’asta lucente. 
Però ancheggiava. In paese la macchina aveva questo moto sussultorio laterale. Unico. Dovuto alle sospensioni, uniche. E, forse, anche al grado zero degli ammortizzatori dell’usatissima Giulia di Eufemio. 

Quando gliela chiesi, alla festa, si girò di profilo, soffiando dal naso per la pena che gli procuravo. Non era tanto gelosia per il mezzo, il problema era il carburante: nel suo serbatoio c’era esattamente la benzina necessaria per tornare a casa. No, non proprio: rientrava nel calcolo anche quella indispensabile per il successivo tragitto da casa alla colonnina. Eufemio conosceva esattamente i percorsi, ormai sempre uguali, dell’alcova ambulante. Sia quelli paesani, sia quelli intercomunali. I suoi rifornimenti, rari, sofferti, contemplavano spesso un resto di cinquanta lire. E la potenza Alfa Romeo veniva convertita a fini non istituzionali: permetteva percorsi cittadini con marce alte, cioè a basso numero di giri, quindi a consumi minimi. Si svoltava in terza con quella Giulia, e sul corso era già quinta 
Prima di affidarmi le chiavi, sempre mantenendosi di profilo, volle sapere quale sarebbe stato il mio tragitto, isolato per isolato, viottolo per viottolo, fremendo a ogni ulteriore centinaio di metri: i benzinai a quell’ora avevano chiuso. Si rassegnò, tuttavia, per la causa, solo per la Causa, all’idea di abbandonare chissà dove la macchina per quella notte. La Causa era Juliette. 

Cosa ci portava, d’oltralpe, Juliette? Un corpo non appariscente, a parte un culo eccessivo e già tremolante di cellulite; un volto incentrato su ampie occhiaie inizio secolo che risucchiavano le gote e minimizzavano la leggera gobba del naso; un mento che arretrava sotto il broncio delle labbra. Ma questo volto era mobile, trasparente. E se l’espressione ricorrente era, per forza d’occhiaie, quella malinconica, o addirittura quella dolorosa del pianto, quelle stesse occhiaie suggerivano facilmente un’aria viziosa o sottolineavano per contrasto una svariata gamma di vivaci espressioni: interrogativa, leziosa, soprattutto capricciosa. 
Osservando Juliette ci si rendeva conto di quanto fosse fermo il volto delle ragazze di paese. L’espressività mediterranea è affidata alle braccia, specie per gli uomini, e la dolcezza non ha molto spazio sui visi delle ragazze. A meno che per dolcezza non si intenda la remissività, l’aria mesta da Madonna, che molte, giù, avevano impressa sul volto, in maniera marmorea. Quelle maschere non venivano mai animate dall’attenzione calorosa, dall’affettuosità. Come avessero introiettato il velo musulmano. Ma sotto il velo materiale le donne arabe sono più libere, sciolte anche nel collo. Il collo delle nostre donne, invece, limitava la sua mobilità alla flessione verso il basso. C’era un vantaggio dermatologico in questa immobilità: neanche le più anziane hanno le rughine al lato degli occhi. Privilegio di chi ride solo con la bocca. 
Juliette, invece, cominciava a ridere dagli occhi, proprio da quegli occhioni aureolati seppia. Aveva un ragazzo e ne aveva avuti altri. Baciare era per lei un’attività consueta, un’arte. Abbracciare un uomo, baciarlo per ore, gli sembrava normale civetteria, nessun senso di colpa verso il suo regolare fidanzato, fosse o no in circolazione. Ma non aveva mai fatto di più, sosteneva. Con nessuno. Neppure carezze lì. Poco credibile. Ma ciglia abbassate, rossori, sussurrati dinieghi ed esclamati stupori, delicate goffaggini di mano, tutto tornava, sincero o finto. Il fenomeno assolutamente inequivocabile era di natura liquida: già al primo bacio iniziava la lubrificazione. E questa emissione un po’ schiumosa continuava ininterrotta. L’abbondanza del suo liquido lubrificante spaventava quasi. Il calore e il corpo di Juliette erano decisamente meridionali, come i suoi geni, ma tanto umidore doveva essere stato immagazzinato in climi meno aridi. Juliette colava, colava, colava. In questa macchina a secco di carburante, sul tratturo secco di questa terra. 

La benzina finì prima che il legittimo proprietario arrivasse a casa. Eufemio si consolò affondando le grosse narici nel sedile bagnato. 


                                              ***

 

Tratti - Fogli di letteratura e grafica da una provincia dell’impero, è edita da MOBYDICK. clicca qui 

 

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