Le corna, dalla Bibbia a Cosmopolitan

 

 

A un paio d’ore di volo da qui si lapidano le adultere. Con pietre vere. Le si porta in un campo e le si sfonda a sassate. Una scena che conosciamo bene, sin dal catechismo, quando abbiamo imparato che non si fa, che nessuno può scagliare la prima pietra. Anche se il Signore che fermò la sassaiola non si sognò di sdoganare il peccato. Ma mettiamo da parte le religioni: fino a qualche decennio fa il nostro codice penale concedeva notevoli attenuanti, quasi un’assoluzione, a una versione più sbrigativa della lapidazione: il delitto d’onore.

 

E nella leggenda di Tristano, Re Marco non trova supplizio sufficiente a punire la fedifraga Isotta. Il rogo gli sembra punizione troppo blanda, troppo rapida, ben presto questa grande fiamma l’avrà ridotta in ceneri che il vento avrà portato via con sé, così sarà deliziato dalla proposta di Ivano, capo dei lebbrosi: “ho cento compagni. Se ci darete Isotta ella apparterrà a noi tutti... un fuoco tanto grande ci divora che non esiste dama sotto il cielo che possa sopportare la nostra vicinanza per più di un giorno solo”.

 

Possiamo conservare la tranquillità raccontandoci che si tratta di tempi o società arretrate, che non hanno diritto ad alcuna considerazione. Ma non è estremo anche il nostro modo di considerare l’adulterio? Certo, a guardare indietro, dai miti più antichi alle commedie sexy, dalla grande letteratura alle barzellette più diffuse, per non parlare di fondamentali episodi biblici, le corna paiono l’ornamento più comune del genere umano. E lo sono state anche quando il cattolicesimo governava i costumi (e non solo), quando potevano provocare abbandono, miseria, morte. Ci rassegneremo dunque a vederle campeggiare ancora. Ma in passato il tradimento era frutto di un rapimento dei sensi, di una passione travolgente che induceva a superare ogni scrupolo. L’idea di peccato era radicata, il senso della trasgressione era forte (e proprio in questo stava gran parte del piacere di quei trastulli). Religione o no, la riprovazione sociale era temibile: l’atto poteva essere consentito, mai lo scandalo; le tresche tollerate, ma mai a discapito dell’armonia familiare.

 

Oggi, invece, c’è tutto un filone di posta del cuore, di rubriche ‘psicorosa’, di disinvolto passaparola, secondo il quale l’adulterio vivifica il menage (medicina indispensabile di ogni buon matrimonio sentenziava la Aspesi negli anni ’70). Ma questo alibi non è più necessario. Non occorre più raccontare che si tratti di un sacrificio per il bene della coppia La Repubblica delle donne e tutte le altre riviste della Donna Repubblicana sono ormai oltre: bisogna esplicarsi (come dicevano i genitori di una povera ragazza all’attonito Tognazzi, giudice istruttore nel magnifico In nome del popolo italiano), seguire i propri impulsi, abbandonare i sensi di colpa e pure l’idea di colpa, togliersi ogni capriccio e al diavolo tutti gli altri. Perché non regalarsi un diversivo? Perché non concedersi una pausa? Già, perché sforzarsi di non cedere alla tentazione? Si tratta di trascurabili episodi, peccati veniali – peccati tra virgolette, s’intende, tanto per citare definizioni trapassate, dato che il Peccato, veniale o no, non è più contemplato. Così come è evaporato il pubblico disonore, causa principale dell’umiliazione del tradito. Non usa più neanche l’affettuoso dileggio degli scorsi decenni: neppure all’arbitro, ormai, si dà del cornuto.

 

L’oggi è il boom di locali per scambisti: l’adulterio è previsto, consentito, incoraggiato, praticato insieme, allegramente, dai consorti. Si tratta di una minoranza, ovvio, siamo nel campo delle perversioni, ma proprio questo campo estremo e pruriginosissimo può darci la percezione della sostanziale immutabilità delle pulsioni, dei sentimenti. Mi spiego: in questa ‘attività’ i componenti della coppia sono ‘insieme’. Si dedicano entrambi, di comune accordo, con tenera complicità, a qualcosa di peccaminoso, forse di squallido. Se separazione c’è, è momentanea, subito dopo si condividono le esperienze. Nessuno tradisce l’altro. Ma quando, ed è documentato da decine di notizie di cronaca, certi legami si rafforzano o uno dei due pratica da solo questi rapporti, succede il finimondo. Perché la menzogna, il tradimento, non sono tollerabili da nessuno, mai, neanche dai più disinvolti (stavo per scrivere depravati ma mi sono morso i tasti, non usa più). Divertito ed eccitato da Florinda Bolkan, sua amante di facilissimi costumi, Gianmaria Volontè, commissario in Un cittadino al disopra di ogni sospetto, finirà per ammazzarla quando si rende conto che non ha il controllo totale delle sue relazioni, dei suoi pensieri.

 

Ne La donna giusta lo scrittore ungherese Sandor Marai scrisse: “Non credo nei Don Giovanni. Si dovrebbe fare di un unico corpo lo strumento dal quale trarre ogni melodia. A volte provo una gran pena nel contemplare gli esseri umani: corrono in modo sfrenato, si affannano inutilmente … mi verrebbe di prenderli a bacchettate sulle dita e dire loro: <Smettetela di agitarvi! Giù le mani. Seduti composti, in ordine>. Non sanno che a volte per vivere sereni basta avere semplicemente un po’ di pazienza, perché l’armonia che cercano tanto affannosamente – e alla quale, con un termine piuttosto vago, danno il nome di felicità – deriva da pochi e semplici accorgimenti … al momento giusto persone intelligenti e preparate – poeti, medici – dovrebbero parlare ai giovani delle gioie della convivenza; non di ‘vita sessuale’ ma di gioia, pazienza, modestia, appagamento”.

 

 

Tradire il coniuge è un atto meschino nel migliore dei casi (quando si è costretti alla menzogna e al sotterfugio), distruttivo negli altri. Non c’è nulla di moderno, di divertente, di creativo; non c’è nessuna crescita. Quel campo, che si vuole a tutti i costi banalizzare, è un campo di forze esplosive: anche fuori dal matrimonio, ogni legame amoroso comporta un patto implicito. Chiunque si senta prescelto all’interno di una relazione presuppone un’esclusività, ci spera, e quando (a torto o a ragione, con o senza promessa) si sente tradito avverte il bruciante impulso (tanto represso oggi quanto prima poteva – doveva – essere palesato, anzi teatralizzato) di consegnare Isotta (o Tristano) ai lebbrosi. Non lasciatevi ingannare dal lifting di civile accettazione che ora tutti hanno imparato a stendere sul volto. Certe pulsioni affondano in un magma vitale che nessuna evoluzione culturale può cancellare. Parliamo di istinti che possono, certo, essere dominati e che solo raramente, tra lo stupore idiota dei progressisti, esplodono davvero in atti violenti; ma la sofferenza resta, incanalata altrimenti: tristezza, autolesionismo, sfascio.   

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