Cattolico a chi?

Un intervista di Federico Platania per il suo blog

 

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1) Ti riconosci nella definizione di “scrittore cattolico” e più in generale cosa pensi di questa classificazione?
Qualsiasi aggettivo accostato al termine scrittore è grottesco e riduttivo. Ma uno scrittore dichiaratamente cattolico è una tale rarità che la qualifica, a quanto pare, va rimarcata; anche se, a ben vedere, ogni scrittore che valga qualcosa ha un senso religioso della vita.  
Potrei in ogni caso potrei definirmi papista. Trovo infatti che l’epiteto affibbiatoci dagli scismatici d’Albione mi descriva perfettamente: come altri sbandati, vedi Giovanni Lindo Ferretti, mi sono imbattuto nel Cardinale 

Ratzinger e l’ho seguito incantato.

Già da tempo tuttavia ero giunto a ritenere che ogni cosa insegnata dalla Chiesa è benefica per qualsiasi società, fede o non fede. Le capacità di elaborazione, gli orizzonti lontani, i tempi lenti, le prospettive che non si limitano ai decenni ma ai secoli, i processi di elaborazione durati duemila anni sono una garanzia di saggezza se non di verità. Quello che distingue i cattolici, infatti, è la fiducia nel magistero: seguiamo gli eredi del più rissoso, cocciuto e tardo dei discepoli, al quale, non a caso, Cristo affidò la sua Chiesa. E i Papi puttanieri e incestuosi non intaccano, in prospettiva, la capacità di custodire e trasmettere la parola di Cristo, ovvero ciò che ci fonda, ciò che ha reso gli uomini Persone. Anche l’elezione del tanguero avrà le sue imperscrutabili ragioni, in termini di Provvidenza. Trovo insomma che ogni abbozzo di morale laica è insufficiente e a volte dannoso e solo la prospettiva della trascendenza indirizza al bene. Quanto a credere davvero alla resurrezione della carne, beh, nella tripartizione gnostica noi grafomani siamo ‘psichici’, destinati al rovello, al dubbio, alla disperazione.

 

2) Esiste una corrente cattolica nella storia della letteratura italiana? Si può parlare di “romanzo cattolico”?
Non sono uno storico della letteratura; a naso mi sembra che di romanzi ‘cattolici’ ce ne siano molti di più negli altri paesi, quelli che non ospitano il Vaticano. D’altro canto come dubitare che il nostro più grande romanzo sia pervaso di cattolicesimo? Quello che so di poter dire è che la critica ufficiale ignora pervicacemente tutto ciò che di religioso, in senso lato, può esserci anche negli scrittori più ‘insospettabili’. Uno a caso: Pasolini. Si tratta di rimozioni generalizzate: tra i fiumi di parole nei servizi e negli omaggi a Lucio Dalla, nessuna che ricordasse la sua profonda religiosità, la circostanza che non perdesse una messa e fosse devoto a Padre Pio, per cui aveva servito messa e al quale, alla fine, si rivolgeva spesso in preghiera. Quando fece da padrino a un battesimo un prete di Manfredonia pianse di commozione: «In tanti anni di sacerdozio mai ho visto servire e seguire la Santa Messa con la partecipazione e la fede di quell’uomo». E che dire dell’eroe del dandismo, il decadente Huysmans, del quale troverete innumerevoli edizioni di A ritroso, manifesto degli scettici, ma neanche uno dei libri scritti dopo la conversione, sui quali la critica glissa, tacendo sistematicamente sulla chiusa dello stesso A ritroso, che ribalta il senso del libro: “Signore, abbi pietà del cristiano che dubita, dell’incredulo che vorrebbe credere, del forzato della vita che si imbarca da solo, nella notte, sotto un firmamento che non è più rischiarato dai consolanti fari dell’antica speranza”.

 

3) Come entra il tuo essere cattolico in quello che scrivi? Ritieni di avere qualcosa in più da dire rispetto agli scrittori non cattolici o lo vivi come un vincolo?
Il mio essere cattolico ‘a giornate’ (quelle poche in cui riesco a recitare il Credo con convinzione) mi consente, spero, di affrontare i temi caldi in maniera originale, non ortodossa, problematica. Ritengo che i miei ultimi scritti (inediti, ça va sans dire) possano essere fecondi quanto divertenti. Non mi sento vincolato, anzi sì, in un certo senso: avverto il piacere/dovere di dire certe cose, di cantarla chiara. Ma è una ricchezza, non un limite. Limitati – e fortemente - sono gli scrittori che ostentano distacco non solo dalla religione ma dalla morale ‘borghese’: dalle tradizioni, dalla bellezza, dal bene. I condannati al noirismo in senso lato. Neri i libri, neri loro, neri i lettori. Libri che ignorano programmaticamente bellezza, grazia, bontà. Non si tratta solo di un genere commerciale più o meno vendibile. Certi autori sono gli untori della disperazione, a volte nascosta sotto affreschi di liberissimi erotismi.

 

4) Essere uno scrittore significa anche entrare in relazione con editori, lettori, critici, giornalisti e altri scrittori. Se lo scrittore è anche cattolico le cose si complicano o si semplificano?

Si complicano enormemente: per la maggior parte degli intellettuali sei un povero fesso (se poi ti opponi all’aborto sei un lurido maschilista, un oscurantista, in breve un fascista). Naturalmente puoi sempre far finta di niente alle gomitate metaforiche che accompagnano ogni riferimento alla Chiesa e alla religione. Per gli editori sei uno che difficilmente riuscirà a vendere: questi son tempi gender; tempi sciolti, disinvolti. Ma va peggio se tenti la strada degli editori cattolici, che inorridiscono di fronte a certe libertà: quando ho proposto al direttore di Civiltà Cattolica, che conosco dai tempi del gruppo Sudcreativo, una recensione del libro di Mozzi e Binaghi, mi ha risposto che in certi organi non possono essere accettati linguaggi disinvolti come il mio.   

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Commenti: 3
  • #1

    F. Caroli (lunedì, 03 agosto 2015 17:23)

    Ho sempre nutrito molta diffidenza verso questo genere di locuzioni. Scrittore cattolico, filosofo cattolico ( o anche filosofo marxista , se per questo, molto in voga qualche anno fa), politico cattolico. Ho sentito persino parlare di medici cattolici. Non ho mai sentito, però, di una ingegneria cattolica, di una chimica cattolica o di una matematica cattolica. Quasi che tale tipo di aggettivazione possa essere attribuito liberamente alle discipline umanistiche o a teoresi che presentano un alto grado di opinabilità.
    Si tratta, ovviamente, di un malinteso: qualsiasi prodotto dell'ingegno umano, che si tratti di pura fantasy o di hard science, o sta in piedi sulle proprie gambe oppure non è. Non c'è storia edificante che tenga, non esiste imprimatur o marchio di fabbrica che serva a conferire spessore a ciò che di per sé è inconsistente.
    D'altro canto, sull'onda del catto-pride, si potrebbe estremizzare il discorso col dire che il primo dovere di ogni buon cristiano nel suo rapportarsi al mondo è la Testimonianza. Rendere testimonianza. Ma allora lasciamo perdere le parole impegnative e proviamo a invertire i termini. Invece che di "scrittore cattolico" parleremo di "cattolico scrivente" (o cattolico che scrive, se si preferisce). Semplicemente.

    (P.S. non è un giudizio sull'opera di Federico Platania, che peraltro non conosco).

  • #2

    Elio Paoloni (mercoledì, 05 agosto 2015 08:12)

    Giusto. E' la prima cosa che dico (le domande sono di Platania per un ciclo di interviste da leggere sul suo sito). Quasi tutti gli scrittori intervistati rifiutano appunto l'etichetta riduttiva. Epperò "uno scrittore dichiaratamente cattolico è una tale rarità che la qualifica, a quanto pare, va rimarcata".

  • #3

    F. Faroli (mercoledì, 05 agosto 2015 09:17)

    Temo di aver commesso un errore marchiano attribuendo a Platania il ruolo dell'intervistato.