Chiamatele frivolezze

 

Ilva, Finmeccanica, Saipem...

 

Potrà sembrare un argomento frivolo, dato che il settore non è strategico, ma la spoliazione del paese procede speditamente anche in uno dei pochi settori che sembrava non dover conoscere declino. Da qualche anno una delle donne più potenti del mondo, la direttrice di Vogue America,  ha ridimensionato drasticamente le giornate milanesi, quelle dedicate alla moda

italiana in favore delle giornate parigine, nonché, manco a dirlo, della settimana newyorchese. La decisione è stata attribuita alla proverbiale “capricciosità” della signora, della quale abbiamo contezza grazie a una formidabile interpretazione di Meryl Streep. Ovviamente tutti sgomitano per esibire i modelli durante il soggiorno della Divina, con accavallamenti che pregiudicano i contatti con gli operatori. Nella lista dei ‘magnifici sette’ del fashion system la Wintour annovera solo un’italiana e molti americani. E’ ben determinata a far diventare New York la prima piazza fashion del mondo nonostante lo stesso New York Times rilevi che “il talento non è abbastanza originale. È scioccante vedere la mancanza di energia e di fantasia”.

 

Non so quanto conti – in moneta - il settore ma il risultato di questa aggressione non si può misurare in meri termini quantitativi. L’aura che accompagnava gli stilisti si estendeva a tutti i nostri prodotti: nei più sperduti angoli del pianeta Made in Italy significava soprattutto la capacità di disegnare. Forse scioccamente si individuava un nesso tra costoro e il Rinascimento, Leonardo, gli splendori architettonici italiani: il design di un qualsiasi elettrodomestico italiano godeva di riflesso della riconosciuta eccellenza dei disegnatori di moda. Lasciatemi sospettare che i ‘capricci’ di Anna Wintour, londinese di nascita ma americana a tutti gli effetti, siano molto poco lunatici. Lasciatemi sospettare anche che la sua p rossima sostituta, Carine Roitfeld, francese, dedicherà ancor meno spazio alla moda italiana.

 

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