Morti ma denuclearizzati

 

Breve storia di una follia antinuclearista

 

La gente mi muore intorno. Non soltanto a causa della centrale a carbone di Cerano, certo: vi sono altre fonti di inquinamento, come ovunque. Brindisi non si è fatta mancare il petrolchimico, e la maggior parte dei veleni li ingeriamo, grazie anche all’uso di pesticidi banditi da anni nei paesi occidentali più sviluppati. Ma questi veleni non sono quantificabili,

 

così come è difficile quantificare quelli che qualche corrente in quota può recapitarci dalla poco lontana ILVA di Taranto. I duecento metri del fumaiolo di Cerano invece, li vediamo bene, da vent’anni, e sappiamo cosa emette (in parte: l’ARPA non ha a disposizione mezzi che permettano misurazioni oltre una certa altezza, misurazioni che vanno, in metà dei casi, comunicate con anticipo). Doveva essere una sana centrale nucleare, solo teoricamente rischiosa,  ma siamo riusciti a costruire un mostro sicuramente, quotidianamente, inquinante, dal primo giorno, anzi già in precedenza, perchè prima di qualsiasi accenno di combustione il primo carico già spargeva le sue polveri dai tredici chilometri di nastro trasportatore.

 

Ho vissuto tutta la storia. Ridacchiavo sorpreso, erano gli anni ’80, quando il fisico nucleare incaricato dei controlli nel reparto di radiologia dell’ospedale mi spiegò che la radioattività normalmente emessa da una centrale a carbone è superiore a quella di qualsiasi centrale nucleare di un paese avanzato. Intanto si dispiegavano le truppe di un movimento che affilava le unghie saldandosi a qualsiasi forza di sinistra, alternativa o fricchettona.

Mi chiedo tuttora quanti di loro fossero in buona fede ma non ho dubbi sulla loro capacità di disinformare, soffocando qualsiasi seria discussione tecnica: gli esperti non avevano voce in capitolo. Ovvio, erano in affari con il nemico.

 

Non che per agitare lo spettro del nucleare ci sia stato bisogno di sottili campagne, di grandi mezzi retorici, di abilità comunicativa: la gente è abituata ad associare il nucleare alla bomba, al fungo, all’inarrestabile, inenarrabile strage comportata dall’INCIDENTE. Avete mai visto un film catastrofico su una centrale a carbone? No, il carbone è una catastrofe lenta, sottile, non spettacolare, niente scoppi né fusioni. Sbandierando la cartolina dall’inferno della futura, inevitabile, eclatante fusione del nocciolo si evitava qualsiasi confronto con l’ordinaria velenosità delle altre fonti energetiche. I numeri non sollecitano emozioni: il milione di persone che, secondo l’Ocse, muore ogni anno per le emissioni dei combustibili fossili è un’entità anonima, nel sistema limbico penetrano solo le immagini: le morti repentine, le foto degli eroi di Chernobyl, le pittoresche alterazioni genetiche.
Tutto ciò naturalmente, senza mai palesare cosa sarebbe successo se la centrale ormai in costruzione, la Federico II (già, come l’Imperatore che scendeva nei nostri boschi per dilettarsi coi falconi, antesignano del turismo di lusso, autentica vocazione territoriale seppellita da mostri come Cerano), non avesse potuto utilizzare combustibile nucleare. Oh sì, certo, si svolazzava sulle fonti alternative. Ah, il sole! Ah, il vento! Ora che le fonti alternative si sono finalmente concretizzate in Puglia, gli ambientalisti si strappano i capelli: le pale eoliche deturpano il paesaggio, non si possono vedere, vanno bandite. E ancora: com’è stato possibile che i terreni siano stati strappati alla destinazione naturale, o almeno alla vocazione agrituristica, deturpando il nostro bel suolo con oceaniche distese di pannelli? Chissà cosa intendevano, allora, per solare, per eolico: la vaschetta dell’acqua messa al sole (acqua di sole, la chiamavano i nostri vecchi) e la girandolina che si compra ai bambini alle sagre patronali?

Non hanno tutti i torti, in ogni caso: lo smaltimento dei pannelli solari sarà un problema epocale. Ah, già, dimenticavo “lo smaltimento”. All’epoca, quando si riusciva finalmente, con auditorio circoscritto purtroppo, a far valere i vantaggi del nucleare, ecco la chiosa finale, quella che ancor oggi fa da pietra tombale di ogni dibattito: e le scorie? Come se il nucleare stesse  nascendo in quell’istante nel Salento, come se non fosse un problema in qualche modo affrontato e risolto da decine di paesi avanzati. Nella peggiore delle ipotesi sarebbero solo una ulteriore quota da aggiungere alle scorie di tutto il pianeta, sepolte chissà dove, forse un po’ più a nord, forse un po’ più a ovest del nostro territorio (ovunque abbiano deciso di seppellirle i nostri malavitosi)

 

Del carbone dunque non si parlava. Avrebbero vinto ugualmente, certo, ma col veleno nero non hanno avuto neppure bisogno di confrontarsi: la parola d’ordine era “niente centrale”, punto, mica “il carbone invece del nucleare”. Il carbone sarebbe venuto dopo, a fiamme spente, inevitabile, in sordina. Implacabile.

 

Così i paesani aderirono in massa al movimento: lottavano per la vita dei propri figli, mica storie. E i sindaci saltarono di corsa sul carro in movimento: il cartello all’ingresso del paese era il timbro sulla rielezione. Quale cartello? Il fiero “Comune denuclearizzato” sotto il consueto cartello indicatore. Con quale orgoglio i paesi intorno esibivano questo distintivo. Rallegramenti.

Ora la gente incomincia a capire cosa sta succedendo e i comitati di salute pubblica additano il mostro. Chi credete che ci sia in questi comitati, insieme a medici avveduti e incolpevoli cittadini? Molti di coloro che ce l’hanno regalato, il mostro. Pensate che qualcuno di loro abbia fatto autocritica? Ma via, non usa più. I cartelli, sbiaditi, sono stati rimossi. La gente ha la memoria corta e non collega. Nessuno dice a questi signori: chiedete perdono ai malati, ai parenti delle vittime. Non sarebbero malati, non sarebbero morti, se non aveste “denuclearizzato” la provincia. 

 

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Commenti: 2
  • #1

    Livio Romano (martedì, 29 gennaio 2013 20:18)

    Totalmente d'accordo Elio!

  • #2

    piero laporta (martedì, 15 marzo 2016 17:49)

    Il potere crea il problema per farsi accettare in veste di soluzione