Pessimismo latianese 2

2008-02-10 11:02:21

 

Sul Domenicale in edicola, la mia intervista all'autrice

 

Salentina la fonte segreta del pessimismo leopardiano

 

Scherzi d'ingegno, il testo del medico-letterato salentino anticipa non solo il nucleo della filosofia leopardiana, ma anche sequenze poetiche,


schemi, lessico del poeta di Recanati, fino al protagonista di una poesia: il Passaro Solitario.

Per Nicola Ruggiero, autore della presentazione, si tratta della “più trasparente ed estesa fonte del pessimismo leopardiano”.

Grazie al più straordinario caso di serendipity della storia delle Lettere, la latianese Vittoria Ribezzi si è ritrovata – in seguito al rinvenimento e all’attento esame di una seicentina - ad assestare uno scossone alla cronologia e alla geografia del pensiero moderno: l’opera Scherzi d’Ingegno, del latianese Francesco Antonio de Virgiliis, medico-letterasto del ‘600, contiene non solo il nucleo centrale del pessimismo leopardiano ma anche parole e figure poetiche ricorrenti negli scritti del grande recanatese.

Come si è ritrovata quel libro per le mani?
Nella Casa Museo che ho creato con l’aiuto di mio marito Vittorio Petrosillo e di amici volenterosi, oltre alle meraviglie archeologiche di Muro Tenente, l’antica città messapica che sorgeva a un chilometro da Latiano in quelli che ora sono terreni di famiglia, sono custoditi molti oggetti anche preziosi e rarissimi che illustrano la storia di famiglia a partire dal ‘500, restituendoci così anche la storia di tutta una fascia sociale meridionale.
Insieme a molte pergamene del cinquecento siamo andati catalogando anche gli scritti di famiglia più recenti, e tra questi c’erano alcune note biografiche, stilate da un fratello del mio bisnonno, riguardanti il medico e letterato (le due cose, nel secolo XVII, andavano di pari passo) Francesco Antonio de Virgiliis, “notabile per estrazione sociale, filantropo per vocazione”, un signore che scriveva trattati dai titoli ineffabili per noi, ma consueti per l’epoca, come “De modo facillimo pestis curandae”.

E il testo era nel Museo?
No, se ne conosceva solo il titolo. E il fatto che si trattasse del solo testo stampato dell’unico letterato latianese del ‘600 di cui ci sia giunta notizia, mi ha spinto a cercarlo.

Aveva idea di dove potesse trovarsi?
Nessuna. Ho dovuto andare a tentoni, senza alcun aiuto di fonti cartacee o informatiche. Ho cercato a Roma, Napoli, Firenze, ma anche a Brindisi e alcuni paesi della provincia. Otto anni fa, finalmente, ne ho rintracciato addirittura due copie, a Lecce, dove il libro era stato stampato.

Secondo Nicola Ruggiero, che ha scritto la presentazione, Lei ha rintracciato la “più trasparente ed estesa fonte del pessimismo leopardiano”. Se ne è accorta subito?
No, anche perché il libro, di 273 pagine, affronta in prosa e in poesia (sonetti e madrigali) gli argomenti più vari, che spaziano da pure reminiscenze storiche o leggendarie a fatti di cronaca, a digressioni filosofiche e celebrazioni del casato cui si riferisce. Solo la dedica iniziale, Signore D. Ambrogio Imperiale, di cui si celebrano le imprese e si illustra l’alto lignaggio, occupa quaranta pagine. 
Per sei anni è rimasto un testo tra tanti, occasione di pura curiosità. Finché non ho sentito il dovere di rendere omaggio all’unico letterato latianese del ‘600 di cui sia giunta notizia fino a noi. Così un pomeriggio mi sono comodamente sdraiata sul divano, in una posizione per me assolutamente inusuale quando leggo, giacché non ho mai avuto una linea di demarcazione tra studio e lettura, considerando quest’ultima alla stessa stregua del primo e assumendo perciò la normale posizione sedia-tavolo. Quel giorno no; volevo completamente rilassarmi, pur nella decisione di leggere l’opera.
Per 120 pagine mi sono limitata a notare la cura nella ricerca genealogica, finché non mi sono imbattuta in qualcosa di troppo simile al ‘mio’ Canto notturno. Non più sdraiata, ho proceduto a salti nella lettura fino alla pag. 131, con la sequenza del vecchio, sempre del Canto notturno. Ormai in piedi, ho ritrovato la natura matrigna di A Silvia, poi, senza completare la lettura, mi sono divertita a fare le prime tabelle comparative. A notte inoltrata ero alle prese con altre sequenze identiche, lessico comune, interrogativi leopardiani. Finché all’alba mi sono imbattuta, ridendo incredula, nel vago Passaro Solitario protagonista di un madrigale.

Non ha pensato di aver preso un abbaglio? Volendo, si possono riscontrare somiglianze di qualsiasi cosa con qualsiasi altra.
In effetti le giornate seguenti a quella lettura sono state tutte vissute all’insegna dell’incredulità. Le conferme che cercavo – e ottenevo – da mio marito, da parenti ed amici non bastavano mai a tranquillizzarmi. Solo la conferma di uno studioso insigne come Nicola Ruggiero e quella di altri leopardisti consultati dall’editore mi ha sollevato dal sospetto di un abbaglio.

Si era già occupata di Leopardi in passato?
Non in maniera specifica. Me ne sono occupata come docente, dopo aver seguito le lezioni di Sapegno. Ma non è principalmente scolastico il legame con Leopardi: nella nostra famiglia il poeta è stato una compagnia costante. Mia madre lo amava talmente che nell’ultimo periodo della sua esistenza, mi chiedeva ogni giorno di leggerle “Il canto notturno”.

Il suo libro è quasi del tutto privo di commenti.
Sì, mi sono limitata a un accurato raffronto di tutti i temi, è un libro costituito da tabelle. Ma già così ne è venuto fuori un buon numero di pagine. Del resto, basta ripercorrere il libro di De Virgiliis per venire colpiti da quell’aura di cui parla Nicola Ruggiero, un’aura che sarà tipica di Leopardi e che culmina nel brano dei “vegetabili caratteri di morte”, trasferito nel celebre passo della “souffrance” della famiglia dei vegetali. Un atteggiamento nei confronti del mondo che va aldilà del singolo brano, della singola idea, e che si percepisce immergendosi nel libro. 

Sono state fatte ricerche in casa Leopardi di una copia di Scherzi d’Ingegno o di accenni in lettere o annotazioni? 
Uno dei mie primi atti è stato quello di scrivere al Centro di Studi leopardiani di Recanati, in cerca di conferme. Sono stata contattata molto celermente per telefono e mi è stato assicurato che non esisteva nulla di simile. Mi sono anche state fatte domande sui motivi della mia richiesta. In seguito il Professor Ruggiero ha chiesto notizie direttamente agli eredi. Per ora non ci sono state conferme.

Cosa ci dà allora la certezza che il Poeta abbia avuto a che fare con questa seicentina?
La prova documentale non la avremo forse mai ma la certezza est in rebus, è nel libro stesso. Il percorso più che probabile del libro è stato ben tracciato da Nicola Ruggiero nella presentazione.Scherzi d’Ingegno era sicuramente noto in ambito romano e marchigiano per diversi motivi: nel testo vengono celebrati i due cardinali della famiglia Imperiali, signori di Latiano; un figlio del De Virgiliis fu medico in Roma, al servizio di porporati e anche della Corte papale; un cardinale di origini marchigiane, Antonio Saverio Gentili, ebbe rapporti con la famiglia De Virgiliis tra il ‘700 e l’’800. 
Il tomo, insomma, era quasi certamente presente nei conventi, tanto è vero che una copia è stata ritrovata nel convento dei Francescani di Lecce. Sapendo che il giovane Conte Monaldo venne in possesso di intere biblioteche “pagate a peso di carta” in seguito alla chiusura dei conventi, tra cui la libreria dei Cappuccini di Filottrano nelle Marche, non sarebbe per niente strano che il tomo sia finito nella biblioteca di casa Leopardi. 

Nicola Ruggiero sostiene che il giovane Leopardi ha “sicuramente letto, apprezzato, interiorizzato” Scherzi d’Ingegno, e che ne ha trasferito qua e là, nei suoi versi e nelle prose “idee, parole, figure poetiche”. Ma scrive che può averlo fatto “anche inconsciamente”. L’epigrafe che Lei ha inserito nel testo, però - un passo in cui Leopardi invita gli imitatori a nascondere la propria fonte - insinua tutt’altro.
Non la intendo come un’insinuazione. Ma è necessario far presente il pensiero di leopardi a proposito delle fonti: se si fosse servito di una fonte cospicua non l’avrebbe ammesso, limitandosi a palesare quelle più limitate. La grandezza di Leopardi, che sta nel suo alto ingegno poetico, resta ovviamente intatta.

“Passerano gli anni – conclude Ruggiero nella sua presentazione – ma chiunque vorrà capire quali siano state le fonti di ispirazione del sommo Recanatese non potrà fare a meno di esaminare l’opera del De Virgiliis”. Che genere di accoglienza si aspetta dal mondo accademico?
Tiepida, direi, a giudicare da alcuni assaggi. Molte carriere sono state costruite su brandelli di fonti sparse qua e là. L’abbondanza di riscontri di questo testo - ritrovato casualmente da una non specialista, appartata, senza cattedre universitarie o prestigiose pubblicazioni alle spalle – indurrà a minimizzare, a volere generiche le somiglianze. Ci si potrà appellare alla labilità degli indizi che conducono alla biblioteca di Monaldo. Questo aldilà delle valutazioni oggettive sul testo. Ma non ha importanza. L’intento del mio lavoro è quello di mettere in luce questa straordinaria figura di letterato salentino, che in piena temperie marinista anticipò di un paio di secoli, forse a causa della sua formazione scientifica, la visione nichilista del pensiero moderno, mettendo in luce, più estesamente e più profondamente dei pochi contemporanei che pure la abbozzavano, “l’infinita vanità del tutto”.


 

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