Nuovi racconti 3

2008-03-04 17:47:20

 

Sul numero primaverile di Tratti

 

“Nuovi” perché pubblicati adesso. In realtà i racconti hanno più di qualche anno e sono stralciati da una raccolta a tema mai completata

Dyane

 

Non l’aveva mai voluta veramente. Lui cercava la Duecavalli: quella sì che aveva il suo fascino. Una storia. Ma quando andò a cercarla non la trattavano più: si lanciava la Dyane. E quella aveva preso, redarguito poi da Antoine in calata estiva: «Noo, la Dyane in Francia ce l’hanno solo i vecchi, gli impiegati».

 

Ma il motore era quello e il coricamento laterale anche: i familiari si irrigidivano spaventati e Maria, al primo tratto collinoso, aveva finito per vomitare.
Uso prevalente: giri del paese, ripetizioni a ciclo continuo di percorsi standard (Piazza Municipio, giardini comunali, senso unico per la Provinciale, Piazza del Sangue, via per la Stazione, Convento, Piazza Municipio) con qualche disperato tentativo di varianti (tra le quali, di notte, eroici sensi vietati). Sembrava un autista di minibus obbligato al tran tran di un micropercorso, con passeggeri allucinati che non si accorgevano delle fermate e restavano a girare in tondo. Corse extra: ai Tre Trulli, sul colle di un paese non lontano, per il coniglio o l’agnello - sperando che non abbaiasse. 
Ma aveva anche fatto lunghi viaggi con la Dyane. Tanto più lunghi quanto più inutili: notti d’autostrada per raggiungere posti dai quali scappare dopo poche ore. Una volta, mentre ripartiva da Roma per tornare giù, decise una deviazione: mezza giornata a Firenze, mai visitata. Non gli piacque niente: correva quasi per strade, sale, corridoi, scale, scorrendo dipinti come si guardano i filari dall’autostrada. Brevi soste nervose di fronte a qualsiasi cosa sembrasse, come lui, sfuggire alla compostezza, a quell’aura di classicità che lo stava ingabbiando, ai secoli che ribadivano, resistendo e trionfando, l’immutabilità dei valori, l’improbabilità di quel salto evoluzionistico che lui si ostinava a ritenere imminente: l’esplosione di vitale irrazionalità che stava per salvare il mondo (o, almeno, la sua vita). 
Scornato in questa ricerca, prese a soffermarsi su bersagli esemplari, scoccando occhiate incendiarie sulle opere che meglio rappresentavano la sfera del ripudiabile, che racchiudevano - inequivocabilmente - tutto quello che odiava: ruoli immutabili, simboli eterni, presunta bellezza, caste aspirazioni. Ma erano troppe, non possedeva odio a sufficienza. 
Infine corse, senza intenzioni di sorta, sotto una pioggia di immagini e vedute che, ammucchiandosi senza essere assimilate, si sarebbero ricomposte, alla fine, in una sola, poliedrica immagine: quella da portarsi appresso. 

C’erano diversi tavoli vuoti nella trattoria dove si rifugiò ma il cameriere volle farlo sedere al tavolo di una donna, un’americana che studiava - o perfezionava - qualcosa. Qualcosa di artistico. O di storico. La distaccata e divertita ruffianeria del cameriere lo sconcertò: bruna, occhi verdi, volto marcato ma bello nell’abbronzatura, quella non aveva certo bisogno delle presentazioni di un cameriere per allacciare rapporti. Non in Italia. 
Non era giovanissima e questo lo metteva a disagio. Ma quello che lo imballò definitivamente fu il suo modo di nutrirsi: i gesti lenti del tagliuzzare, quelli cauti e ancor più lenti del tragitto delle particole verso la bocca, la lunga masticazione con minime escursioni della mascella che attraevano ipnoticamente lo sguardo. Lentezza non voluttuosa né sacrale: lei trattava il cibo come qualcosa di pericoloso, di impudico, da disinnescare con cautela. Di fronte a questo quadro gli era impossibile ingozzarsi della sua doppia porzione di spaghetti, unico piatto ordinato - per economizzare più che per voracità. Cercò di ingentilire, rallentare i suoi gesti per non violentare la compostezza di lei ma era incapace, quasi fosse lui l’americano, di formare con gli spaghetti gomitoli ridotti e compatti: riuscì solo a trasformare la sana voracità in goffaggine. 
Accostare una straniera, bella e fine: non avrebbe potuto desiderare niente di più, partendo da Roma. Ma ora non aveva idea di cosa farci, di cosa dirle, atterrito da quella sua compostezza per nulla americana, che ricalcava la compostezza architettonica della città. Tutto era quieto e composto, anche i giapponesi, e lui era scomposto, insofferente, inadeguato: appena finiti gli spaghetti si sottrasse alla divertita attesa del cameriere e agli sguardi lenti, circolari, panoramici, di lei. 
In auto non indulse neppure alla ricostruzione immaginaria di una possibile relazione con la ieratica straniera. Non attivò la consueta proiezione di plausibili sviluppi alla ricerca di una conclusione credibile ma gratificante, quell’aggiustamento immaginario di verosimiglianza così rigorosa da potersi considerarlo avvenuto. 
Allucinato dalla lunghezza della quarta, voleva solo tornarsene al paese, dove ottusità e grettezza, poiché consuete, non venivano neppure avvertite. Meglio un paese nato morto di una città che morta era voluta diventare. 
Era la Dyane a stancarlo, pensava. Non ne poteva più della rumorosità del cambio, delle vibrazioni allo sterzo che sfidavano ogni equilibratura, dei colpi sordi di batacchio che segnalavano l’inserimento della freccia, dei sedili non ribaltabili, dei mezzi finestrini da clausura e di quella placca del volante che non voleva saperne di restarsene a posto. 
La sera dopo, nell’usuale ronda disperata, cominciò a salire con le gomme sui marciapiedi bassi. Poi prese ad abbordarli senza curarsi dell’altezza. Infine si applicò alla ricerca frontalmente. Damiano sottolineava, anzi anticipava, impennate e sobbalzi con gli imperativi dei carrettieri: era stato proprio lui il primo ad affrontare, con la Cinquecento, le scalinate dei piazzali. Quando però lo vide assecondare - cambio in folle e suole alte sui pedali - l’abbrivo che conduceva contro paraurti d’auto antipatiche o contro spigoli di case non difese da marciapiedi, l’allegria divenne un po’ forzata: alcuni sguardi di sbieco sembrarono temere qualcosa di più che ordinarie pazzie da noia alcolica. Ma non fece domande.

 

                                                  ***

 

Tratti - Fogli di letteratura e grafica da una provincia dell’impero, è edita da MOBYDICK. clicca qui 

 

 

 

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