Un conservatore a caccia

2007-09-24 17:08:12

 

Ancora Scruton, in vesti venatorie

 

Su Stilos n. 17 – 11 settembre 2007

 

Benché il suo intento sia di “conferire consistenza filosofica” ad alcune posizioni contemporanee, negli scritti di Roger Scruton si rinvengono più gli umori di un ottimo scrittore, magnifico pamphlettista ed efficace apologeta, che i rigori di un pensiero organico. In questo Sulla caccia (Editoriale Olimpia) le citazioni del


suo Kant si limitano a punteggiare l’approccio sensoriale, lirico: “Nella caccia tutto è fine a sé; qui, correndo lungo il sentiero in un allegro corteo, c’era il Regno dei fini, la comunità che non è da nessuna parte e che è dappertutto, lo scorcio eternamente ricorrente della nostra casa trascendentale”. Ma più che i filosofi Scruton cita i poeti, come Rilke (Come se non con usanze e cerimonie/Possono nascere innocenza e bellezza?) e i narratori inglesi, efficaci soprattutto nel contesto rurale (solo Dickens sapeva scrivere della città ma ne scriveva come di cosa aliena, demoniaca).

Il suo procedere è così poco sistematico che solo l’autobiografia – premette - può sorreggerlo nel compito di argomentare in difesa della caccia alla volpe. L’attacco è fulminante: “La mia vita è divisa in tre parti: ero disgraziato nella prima, a disagio nella seconda e a caccia nella terza”. E, più avanti: “Una volta ero io che contenevo il mondo, un mondo privato, pieno di libri, improvvisato da sogni guastati. Ero l’eroe esistenzialista di un dramma scritto da me stesso. Non lo contengo più il mondo, sono contenuto da lui”. E’ una rinuncia all’orgoglio intellettuale, alla superiorità fittizia e ansiosa del classificatore. E’ arrendersi a una verità indigesta: siamo eterodiretti. Non tanto, per fortuna, dall’influsso mediatico contemporaneo, dato che viviamo in un “mondo concreto, obiettivo, pubblico, le cui regole furono stabilite senza il nostro aiuto e senza nessuna conoscenza della nostra esistenza” e l’appartenenza sociale più profonda va “oltre le chiacchiere”, chiacchiere che comprendono, presumibilmente, qualsiasi costruzione filosofica, “e oltre la scelta”. Come in un sogno pasoliniano, la caccia ti tira fuori dalla solitudine modernista e ti “scaraventa in mezzo al branco pre-moderno”. 

Il principale malinteso da affrontare è quello che vuole la caccia alla volpe beneficio esclusivo di una classe: la caccia viene seguita anche a piedi, in bicicletta, addirittura in auto, e lo stesso Scruton, nonostante gli sforzi economici fatti per comprare e mantenere dei cavalli, ha la sensazione di rimanere alla periferia del Rito. Ma non ha alcuna importanza perchè la caccia alla volpe è uno sport di spettatori: invece dei calciatori ci sono i cani. E’ un grosso abbaglio pretendere che lo sport debba necessariamente essere praticato: il tifo dello spettatore Elleno di Pindaro – esattamente come quello descritto da Nick Hornby nei suoi libri sul tifo calcistico – “sorge dal profondo dell’essere sociale, come un contributo all’azione e una specie di ricreazione del senso religioso”. E i partecipanti alla caccia sono una comunità ancestrale: uomo, cavallo e cane costituiscono un tutto indistinguibile. 

Ricordando che il primo divieto di caccia nella storia del mondo civilizzato è stato emanato da Hitler, Scruton conclude che, contrariamente alla “vecchia Inghilterra” che disapprovava moltissime cose, la “nuova Britannia” ne disapprova pochissime ma vorrebbe proibirle tutte per legge.

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